Il Bodhisattva Triste e la Perfezione di Saggezza

30.06.2025

"… Sono povero. Non possiedo nè abiti di quel tipo, nè gemme, nè oro, nè perle, nè diaspri, nè conchiglie, nè coralli, nè argento, nè fiori, nè incenso, nè profumi, nè ghirlande, nè unguenti, nè polveri, nè stoffe, nè ombrelli, nè bandiere, nè campane, nè stendardi. Come potrei onorare e fare un regalo a Dharmodgata, il bodhisattva, il grande Essere? 

E nulla di tutto questo è in mio possesso. Se io stesso andassi così, povero come sono, a rendere omaggio a Dharmodgata, il bodhisattva, il grande Essere, non ne proverei né gioia né piacere".


La storia del bodhisattva Sadāprarudita (il "Sempre Piangente", o "Colui che si lamenta incessantemente"), narrata nel trentesimo capitolo dell'Aṣṭasāhasrikā Prajñāpāramitā ("Perfezione di Saggezza in Ottomila Stanze"), è un racconto esemplare e toccante sulla ricerca spirituale e la devozione.

Sadāprarudita è spinto da una fame spirituale insaziabile: il profondo desiderio di trovare e comprendere la Perfezione di Saggezza (Prajñāpāramitā), la saggezza trascendente che è al centro del Buddhismo Mahāyāna e che rivela la vera natura della realtà, oltre ogni concetto. Il suo "pianto" simboleggia questa intensa aspirazione.

Per raggiungere il suo scopo, Sadāprarudita intraprende un viaggio arduo e compie sacrifici estremi, arrivando a vendere il proprio corpo per procurarsi i mezzi necessari a continuare la sua ricerca e a fare offerte al Dharma. Questa dedizione incrollabile dimostra l'enorme valore attribuito alla Perfezione di Saggezza e la necessità di un totale disinteresse e perseveranza. Il culmine della sua ricerca sarà l'incontro con il bodhisattva Dharmodgata, un maestro illuminato che potrà impartirgli l'insegnamento della Perfezione di Saggezza, sottolineando l'importanza del Maestro e della guida, per ottenere la realizzazione del proprio Sentiero spirituale.

La Perfezione di Saggezza non è una conoscenza ordinaria, ma una comprensione intuitiva e liberatoria della Vacuità (śūnyatā), l'idea che tutti i fenomeni della nostra esperienza sono privi di esistenza intrinseca. Per un bodhisattva, la Prajñāpāramitā è la virtù suprema, accompagnata dalla Compassione, essenziale per il percorso verso l'illuminazione e per il beneficio di tutti gli esseri.

La Prajñāpāramitā, o "Perfezione di Saggezza", costituisce un corpus fondamentale e vastissimo di scritture buddhiste appartenenti al cosiddetto "Grande Veicolo" (mahāyāna), una branca della religione che iniziò a svilupparsi intorno al I secolo a.C., con lo scopo principale di esplorare la natura profonda della saggezza (prajñā) e il suo ruolo indispensabile nel raggiungimento dell'illuminazione spirituale. All'interno di questa vasta letteratura, la "Aṣṭasāhasrikā Prajñāpāramitā", o "Perfezione di Saggezza in Ottomila Stanze" (riferendosi approssimativamente al numero di śloka, unità di trentadue sillabe), occupa una posizione centrale.

Considerata una delle prime scritture Mahāyāna, probabilmente redatta per iscritto a partire dal I secolo a.C., essa deve aver avuto numerose rielaborazioni, essendo il testo a noi pervenuto, redatto in un sanscrito molto corretto, privo delle forme ibride, di difficile lettura, caratteristiche dei frammenti e delle produzioni più antiche di questo corpus di Scritture.

Questo testo centrale, che presenta tipicamente la sua dottrina attraverso un dialogo tra il Buddha e il suo discepolo Subhūti, ha avuto la funzione di opera fondante, dalla quale la più ampia letteratura Prajñāpāramitā si è successivamente espansa in versioni molto più lunghe, incluse quelle di 18.000, 25.000 e 100.000 Stanze (o contratta in versioni brevi).

Il bodhisattva Sadāprarudita intraprende una ricerca ardua per la Perfezione di Saggezza. Questa ricerca costituisce il tema centrale della narrazione. La sua profonda motivazione deriva da una risoluzione incrollabile di comprendere e incarnare questa saggezza suprema. La narrazione di Sadāprarudita funziona come un potente racconto didattico ed esemplare. Serve a illustrare la condotta ideale di un bodhisattva, dimostrando l'impegno incrollabile, la perseveranza e la profonda devozione richieste per perseguire la Perfezione di Saggezza, indipendentemente dagli ostacoli.

La storia di Sadāprarudita si apre con il bodhisattva in uno stato di profonda malinconia e inquietudine, tormentato dal desiderio di udire la Prajñāpāramitā ma ignaro di dove trovarla. Guidato da una voce divina, Sadāprarudita intraprende un lungo e arduo viaggio verso est, alla ricerca del Dharma e, in particolare, della Prajñāpāramitā. Il suo percorso è disseminato di sfide e prove. La narrazione evidenzia che la Prajñāpāramitā non è facilmente accessibile. Richiede uno sforzo straordinario, una perseveranza incrollabile e la capacità di superare ostacoli sia esterni che interni. La sua rarità e il suo valore sono proporzionali alla difficoltà della sua ricerca.

Sadāprarudita è un bodhisattva che sperimenta emozioni umane intense – tristezza, frustrazione, ma anche gioia e determinazione. Questo lo rende una figura accessibile, dimostrando che il cammino del bodhisattva è realizzabile anche per coloro che partono da uno stato di apparente "mancanza" o "ignoranza". Secondo la narrazione, una voce sovrannaturale guida Sadāprarudita a cercare la Perfezione di Saggezza verso est, fino a che, seguendo quella direzione, egli sarebbe giunto nella città di Gandhavatī (la "Città delle Fragranze") incontrando il bodhisattva Dharmodgata, custode degli insegnamenti della Prajñāpāramitā.

Sebbene il testo non fornisca una localizzazione geografica precisa di questa Città ideale e ricca di elementi visionari, è suggestivo un collegamento ideale con la regione storica di Gandhara, un'area di grande importanza per il Buddhismo antico. Gandhara (che si estendeva nell'attuale Pakistan settentrionale e parti dell'Afghanistan orientale) fu un crocevia culturale e un centro fiorente per il Buddhismo, dove emersero alcune delle più antiche manifestazioni artistiche buddhiste e i primi manoscritti buddhisti conosciuti (i testi buddhisti di Gandhara). Tuttavia, è importante notare che Gandhavatī potrebbe essere stata più una località mitica o simbolica che una città geograficamente identificabile. La sua descrizione come "Città delle Fragranze", abitata da esseri evoluti spiritualmente, ne accresce la dimensione quasi eterea e metafisica, un luogo appropriato per la rivelazione di una saggezza trascendente.

Nella simbologia buddhista e in molte tradizioni asiatiche, la direzione Orientale è associata all'alba, alla nascita, ai nuovi inizi e all'illuminazione. Il sole sorge a est, portando luce e chiarezza dopo l'oscurità della notte. Per Sadāprarudita, la sua ricerca della Perfezione di Saggezza è la ricerca della luce, della verità che disperde l'ignoranza.

Un suggestivo antecedente alla natura allegorica del viaggio di Sadāprarudita si trova nel Chandogya Upaniṣad (VI.14.1-2). Questo testo vedico racconta l'aneddoto di un uomo della regione di Gandhara che viene bendato e lasciato in un luogo deserto. Una volta liberato dalla benda, gli viene detto di chiedere indicazioni e, seguendo le istruzioni, riesce a ritornare a Gandhara. Questo racconto è utilizzato per illustrare come un'anima, disorientata nel mondo materiale a causa dell'ignoranza, possa ritrovare la strada verso la liberazione (la propria vera dimora) attraverso la guida di un maestro spirituale. Analogamente, Sadāprarudita, inizialmente perso nella sua ricerca della saggezza, viene guidato da una voce e poi da Dharmodgata, simboleggiando il ruolo essenziale della direzione e della guida nel percorso verso la conoscenza spirituale. Il "Gandhara" dell'Upaniṣad, pur essendo una regione geografica, diviene una metafora per la destinazione spirituale o lo stato di saggezza a cui si deve ritornare.

L'analisi del viaggio spirituale di Sadāprarudita trova un eco suggestivo in un altro grande racconto di ricerca e rivelazione: il "Canto della Perla" (o "Inno della Perla"), contenuto negli apocrifi Atti di Tommaso. Sebbene le origini e i contesti di questi testi siano profondamente diversi, il primo radicato nel Buddhismo indiano, il secondo nella Cristianità siriaca con forti sfumature gnostiche, le affinità tematiche e narrative offrono spunti per un'esplorazione delle possibili connessioni culturali lungo l'antica Via della Seta.

Il "Canto della Perla" è una delle narrazioni più celebri e poetiche attribuite allo Gnosticismo siriaco. Racconta la storia di un giovane principe, figlio del "Re di Partia" (il Padre celeste), che viene inviato dalla sua dimora luminosa in Oriente, nel mondo dell'Egitto (simbolo del mondo materiale e dell'oscurità), con una missione: recuperare una perla nascosta, custodita da un terribile serpente.

Appena giunto in Egitto, il principe si veste con abiti "mondani" e consuma il cibo locale, dimenticando la sua vera identità, la sua origine regale e la sua missione divina. Questa "caduta" e il conseguente oblio simboleggiano la condizione dell'anima, secondo la visione gnostica, imprigionata nella materia e ignara della sua scintilla divina.

Dopo un periodo di smarrimento, una lettera dal suo Re Padre e dalla sua Regina Madre (lo Spirito Santo o la Saggezza divina) giunge a risvegliarlo. Questa "chiamata" da fuori è la gnosi, la conoscenza salvifica che gli ricorda la sua identità e il suo scopo.

Il principe si dedica alla sua missione, affrontando il serpente e recuperando la perla. La perla simboleggia la conoscenza superiore (gnosi), l'anima purificata o la verità ultima. Dopo aver recuperato la perla, il principe si spoglia degli abiti egiziani e riprende il suo "vestito glorioso" (simbolo dell'anima liberata e purificata) inviatogli dal Padre. Torna trionfante alla sua dimora celeste, accolto e riconosciuto.

Nonostante le diverse matrici culturali e teologiche, emergono notevoli risonanze tra il "Canto della Perla" e la storia di Sadāprarudita.

Entrambe le narrazioni descrivono un arduo viaggio spirituale, intrapreso da un protagonista in uno stato di "mancanza" o "oblìo" (la tristezza e l'inquietudine di Sadāprarudita per la mancanza della Perfezione di Saggezza; l'oblìo del principe nel mondo materiale).

Per il principe, il Tesoro è la perla; per Sadāprarudita, è la Prajñāpāramitā. Entrambi questi "tesori" non sono facilmente accessibili; richiedono sacrificio, perseveranza e il superamento di ostacoli (il pericolo del serpente per il principe; le privazioni e la vendita del proprio corpo per Sadāprarudita).

Sia la gnosi (nel "Canto della Perla"), sia la Perfezione di Saggezza (nel Buddhismo Mahāyāna) sono presentate come la chiave per la liberazione e il ritorno a uno stato superiore. Non vi è una salvezza per grazia, ma una liberazione attraverso una specifica conoscenza o saggezza.

La lettera dal Padre risveglia il principe; la voce guida e poi Dharmodgata rivelano la via a Sadāprarudita. In entrambi i casi, il risveglio e la direzione provengono da una fonte esterna che facilita la ricomposizione dell'individuo con la propria vera natura o scopo.

Il principe ritorna alla sua dimora celeste; Sadāprarudita realizza la saggezza. Entrambi i percorsi culminano in una trasformazione profonda che porta il protagonista a uno stato di completezza e realizzazione.

La questione delle influenze tra lo Gnosticismo (e il Manicheismo, spesso correlato) e il Buddhismo, in particolare il Grande Veicolo, è stato argomento di dibattito accademico. Tuttavia, la vasta rete della Via della Seta nei primi secoli della nostra era (I-VII secolo d.C.) ha sicuramente favorito un intenso scambio culturale, filosofico e religioso tra l'Occidente (Medio Oriente ellenistico-romano) e l'Oriente (India e Cina). Mercanti, missionari, eruditi e artisti viaggiavano costantemente lungo la Via della Seta, portando con sé non solo beni materiali ma anche idee, testi e pratiche religiose. Regioni come la Battriana e il Gandhara erano crocevia di queste interazioni.

Sebbene non ci siano prove conclusive di un'influenza diretta e sistematica di testi gnostici specifici sul Buddhismo Mahāyāna (e viceversa), entrambe le tradizioni operavano in contesti in cui si cercavano risposte profonde alla sofferenza e all'ignoranza, portando a soluzioni filosofiche simili. In conclusione, la storia di Sadāprarudita e il "Canto della Perla" sono testimonianze indipendenti ma sorprendentemente parallele della profonda e universale ricerca umana della verità e della liberazione dall'ignoranza.

In aggiunta alle tematiche storico-religiose legate allo Gnosticismo, sono state prese in considerazione le possibili, reciproche influenze del Buddhismo del Grande Veicolo e del Manicheismo, altra grande religione del mondo tardo antico.

Se da un lato le ipotesi di influenze manichee sullo sviluppo del Buddhismo Mahayana sono state oggetto di dibattito e spesso ridimensionate, è innegabile che il Manicheismo, con la sua notevole espansione territoriale e la sua intrinseca natura sincretistica, abbia assorbito e reinterpretato elementi dalle religioni che incontrava. In questo contesto, il Buddhismo ha esercitato un'influenza significativa sul Manicheismo, con la sua strategia di sincretismo inclusivo, particolarmente evidente nei testi provenienti dall'Asia Centrale, dove si parla del Buddha della Luce.

L'influenza buddhista sul Manicheismo è più tangibile nelle regioni orientali della sua diffusione, in particolare nell'Asia Centrale (come la regione dell'attuale Xinjiang, in Cina, dove sono stati scoperti molti testi manichei in lingue come il Sogdiano, l'Uiguro e il Cinese). In queste regioni, il Manicheismo entrò in contatto diretto e prolungato con il Buddhismo.

La figura del "Buddha della Luce" (o "Gesù Buddha", "Buddha Gesù") è una delle manifestazioni più chiare di questa influenza. Nei testi manichei, il Buddha non è inteso come l'essere 'storico' Siddhartha Gautama nel senso buddhista ortodosso, ma viene reinterpretato come un'entità divina, un'emanazione del Regno della Luce, che ha avuto un ruolo nel processo di liberazione delle particelle di Luce intrappolate nella materia. Questa figura spesso si accosta alla figura del Salvatore della teologia manichea, crocifisso ad ogni istante in ogni angolo dell'Universo.

Il "Buddha della Luce" riflette l'assimilazione manichea di una figura di prestigio buddhista in una veste gnostico-dualistica. Egli non è il Buddha che insegna la via di mezzo e la vacuità, ma un'entità cosmica coinvolta nella lotta tra Luce e Oscurità, un redentore che porta la conoscenza salvifica.

La Via della Seta è stata il canale principale per questi scambi. Il Manicheismo si espanse verso est, raggiungendo l'Asia Centrale e la Cina, dove trovò sia sostenitori che oppositori tra le comunità buddhiste. In queste regioni, il Manicheismo spesso tentava di presentarsi come una "nuova forma" di Buddhismo per facilitarne l'accettazione. Questa strategia richiedeva una certa familiarità e adattamento ai concetti e alle figure buddhiste.

L'interazione non fu unidirezionale. Mentre il Buddhismo forniva un ricco repertorio di idee e pratiche che i manichei potevano reinterpretare, la stessa pressione sincretistica del Manicheismo può aver spinto alcune scuole buddhiste a definire più chiaramente la propria identità in contrapposizione al Manicheismo, o, in alcuni casi, a incorporare elementi in modo sottile per facilitare la conversione. Questo processo non solo evidenzia la porosità delle frontiere culturali e religiose lungo la Via della Seta, ma anche l'ingegnosità del Manicheismo nel presentarsi come una sintesi universale dell'essenza delle verità religiose.


Ma, adesso, torniamo alla vicenda di Sadāprarudita, il bodhisattva Triste,

con la lettura del Trentesimo Capitolo della "Perfezione di Saggezza in Ottomila Stanze"

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