La "Narrazione della Pietra" e l'infinità dei Mondi

Lo Yogavāsiṣṭha è uno dei testi fondamentali e più voluminosi del pensiero indiano medievale, particolarmente venerato dalla tradizione filosofica del Vedānta. Conosciuto anche come Vasiṣṭha Mahā Rāmāyaṇa (il "Grande Rāmāyaṇa"), l'opera è strutturata come un vasto dialogo didattico tra il saggio Vasiṣṭha e il giovane principe Rāma, che è caduto in un profondo stato di malinconia e distacco (Vairāgya) di fronte alla futilità dell'esistenza.
Il testo, composto da circa 29.000 versi, guida progressivamente Rāma (e il lettore) attraverso sei sezioni (Prakaraṇa), dalle fasi iniziali del distacco (vairāgya) fino alla Liberazione finale (nirvāṇa), utilizzando una complessa serie di storie annidate (upākhyāna) che sono veri e propri esperimenti mentali per illustrare concetti metafisici altrimenti inaccessibili alla logica ordinaria, e per dimostrare la natura illusoria della realtà, soggetta al principio centrale dell'illusione cosmica, la Māyā. La versione più antica dello Yogavāsiṣṭha è il Mokṣopāya (Il "Mezzo per la Liberazione"), un'opera monumentale redatta in Kashmir nei secoli IX-X della nostra era. Il testo attuale, invece, lo Yogavāsiṣṭha, fu rielaborato più tardi, probabilmente nei secoli XII-XIV, adattando la struttura originaria alle più ampie correnti vedantiche del Sud dell'India.
Il cuore filosofico che rende il Yogavāsiṣṭha unico nel suo impianto poetico e così ricco di storie fantastiche è la sua adesione a due dottrine estreme:
La prima è detta Ajātivāda ("Dottrina della Non-Origine"), secondo la quale l'universo non è mai nato e non perirà mai, poichè solo la Coscienza Pura, identificata con il Brahman, è eterna. Pertanto, l'universo fenomenico non è una creazione oggettiva o materiale, ma una pura e semplice 'apparizione' mentale, messa in opera dalla Coscienza suprema. La seconda è detta Dṛṣṭi-Sṛṣṭi-Vāda ("Dottrina della Creazione che è Percezione"). Questa afferma che la realtà esterna non ha esistenza indipendente dalla percezione sensoriale, ma è simultanea ad essa. L'intero universo visibile è un prodotto diretto della costruzione concettuale (vikalpa) e del pensiero dualistico, caratteristico della mente individuale non realizzata.
In altre parole, l'esperienza della veglia (jāgṛat), pur essendo in buona parte condivisa, non è ontologicamente più reale di quella del sogno (svapna), anzi, essa si svolge, nè più, nè meno, come se fosse una "rete di sogni di soldati".
Dobbiamo immaginare un vasto accampamento di soldati che dormono di notte. Ognuno di loro sta sognando un mondo vivido (con le sue battaglie, regni, nemici) ma il sogno di ciascuno non è quello degli altri. Tutti i loro sogni sono compresi in una "rete" (jāla) che coesiste nella stessa realtà fisica, l'accampamento, ma non si toccano reciprocamente. Di conseguenza, ciascun 'mondo', percepito come un vasto e solido universo, o sogno, è essenzialmente un'illusione non condivisa, sebbene appaia infinitamente reale alla coscienza che lo sta proiettando nella propria esistenza.
In sostanza, l'intero universo, con le sue vertiginose successioni temporali, è descritto come un miraggio, creato dal Grande Illusionista, che è la Mente.
Le storie, nello Yogavāsiṣṭha, non sono allegorie morali, ma dimostrazioni narrative dello Ajātivāda, nelle quali sono alterati in modo estremo i concetti di Spazio (mondi annidati), Tempo (compressione o dilatazione temporale) e Identità (multipla e trasmigrante). Il principio dell'universo come mera proiezione mentale di natura divina raggiunge il suo apice narrativo con la "Narrazione della Pietra" che qui è presentata. Il racconto descrive un'entità di Coscienza Pura che, in forza di una debolissima impressione latente (vāsanā), manifesta l'idea della materia e si condensa nella forma di una roccia. All'interno di questa roccia apparentemente inerte, l'entità esperisce una realtà intera e complessa, un mondo completo di tempo, spazio e innumerevoli esseri senzienti, ciascuno con la propria storia.
Questa trama di fondo è la dimostrazione ultima del "Dṛṣṭi-Sṛṣṭi-Vāda" (la "Dottrina della Creazione che è Percezione"). Se l'intero universo, con la sua durata cosmica, può esistere e dispiegarsi all'interno del frammento infinitesimale di una pietra che, a sua volta,
è solo una condensazione della Coscienza, allora tutto l'universo, compreso il nostro, deve essere una mera proiezione mentale e soggettiva.
Questo episodio funge da ponte concettuale con il Tripurārahasya, un altro testo Advaita e Śākta, che, derivando certamente la sua ispirazione proprio da questa narrazione dello Yogavāsiṣṭha, usa il concetto di 'Vimarśa', (cognizione riflessa) per spiegare come l'Assoluto si rifletta come mondo. La storia del Tripurārahasya che si svolge intorno alla Collina di Gaṇḍa (gaṇḍaśilā, ovvero la "Grossa Roccia"), già pubblicata da me in questo sito, serve a dimostrare un principio fondamentale, ossia che il mondo di uno yogin, con la sua intera storia e configurazione spaziale, è la proiezione mentale autonoma, vivida per quanto illusoria di un individuo spiritualmente realizzato. La roccia funge da Portale concettuale tra universi completi che coesistono in uno spazio che, in realtà, è separato unicamente dalla prospettiva della Coscienza. L'insegnamento è che ciascuna singola realtà è un fenomeno isolato della Coscienza, una bolla che scaturisce e si dissolve in un oceano infinito senza lasciare traccia.
La Narrazione della Pietra, presente nello Yogavāsiṣṭha, si pone ad un livello ancora più radicale e astratto, descrivendo come la Coscienza, mossa da una vāsanā (impressione latente) minima di materialità, si condensi e si manifesti nella forma di una roccia. All'interno di questa roccia apparentemente inerte, l'entità esperisce un mondo completo e illimitato (con il suo tempo, spazio e cicli cosmici). La roccia, da simbolo dell'inerzia (jaḍatva) diventa, in questo modo, il contenitore attivo di una visione cosmica.
L'infinito può essere contenuto nell'infinitesimale, poichè tutto ciò che appare, frutto del saṃkalpa (l'ideazione, la volontà transpersonale, la risoluzione) della Coscienza Suprema, non è altro che una mera proiezione mentale, simultanea alla percezione, che coinvolge e associa insieme gli individui viventi (jiva) in una rete condivisa e infinita.
Editing testo sanscrito, traduzione italiana interlineare e note esplicative a cura di Marino Faliero
La Narrazione della Pietra.
Yogavāsiṣṭha - Nirvāṇa Prakaraṇa, Parte Seconda

Il Cinquantaseiesimo Capitolo:
"Descrizione del Samādhi di Vasiṣṭha nel Tempio dell'Etere"
Il Cinquantasettesimo Capitolo:
"Indagine sull'Ego del Saggio"
Il Cinquantottesimo Capitolo:
"Esposizione dell'Identità tra la Creazione e il Brahman"
Il Cinquantanovesimo Capitolo:
"Descrizione della Rete dei Mondi"

Sessantesimo Capitolo:
La "Descrizione della Rete dei Mondi"
Sessantunesimo Capitolo:
"La Conoscenza Unificata dello Spazio del Mondo"
Sessantaduesimo Capitolo:
"L'Unità della Coscienza"
Sessantatreesimo Capitolo:
"Dichiarazione dell'Unità della Sostanza del Mondo."
Sessantaquattresimo Capitolo:
"Descrizione del disagio della Vidyādharī"
(un essere celeste femminile, "Detentrice di Conoscenza", o "Detentrice di Incantesimi")

Sessantacinquesimo Capitolo:
"Descrizione della nascita e della condotta della Vidyādharī"
Sessantaseiesimo Capitolo:
"Descrizione di ciò che è all'interno della Pietra"

Sessantasettesimo Capitolo:
"Elogio della Pratica"
Sessantottettesimo Capitolo:
"Descrizione della non sostanzialità dell'Oggetto della Visione"
Sessantanovesimo Capitolo:
"Giungere alla Creazione"

Settantesimo Capitolo:
"Le parole di Brahmā dell'Altro Universo sul Mondo all'interno della Pietra"

TRADUZIONE ITALIANA

