La profezia di Shambhala e la Ruota del Tempo (Kālacakra)
Il Laghukālacakratantra ("Tantra Breve della Ruota del Tempo") è uno dei testi più complessi, enigmatici e profondamente significativi del Buddhismo Vajrayāna, in particolare all'interno della tradizione tibetana, dove costituisce un pilastro fondamentale delle pratiche tantriche più elevate. Questo tantra si distingue per la sua enciclopedica fusione di cosmologia, astrologia, medicina, filosofia e pratiche meditative, offrendo una visione olistica del sentiero verso l'illuminazione.

Fulcro della sua dottrina è la divinità Kālacakra (Ruota del Tempo, che incarna il principio dell'Ādibuddha (il Buddha Primordiale), che non è una mera figura mitologica, bensì la rappresentazione della saggezza onnisciente e dell'unione inseparabile di Vacuità (śūnyatā) e Compassione. Kālacakra è la divinità tutelare (iṣṭadevatā) propria di questa scuola tantrica, venerata come la manifestazione ultima della Mente di Buddha. La sua consorte, Viśvamātṛ (Madre dell'Universo), simboleggia la Prajñā (la Saggezza). Insieme, essi incarnano la completa e perfetta illuminazione, al di là del tempo e dello spazio.
La trasmissione del Kālacakratantra è avvolta in una ricca narrativa storica e leggendaria. Secondo la tradizione, il Kālacakratantra fu insegnato dal Buddha 'storico' stesso, Siddhartha Gautama, nel Sud dell'India, su richiesta di Sucandra, il primo re del mitico regno di Śambhala. Sucandra trascrisse questi insegnamenti e li portò a Śambhala, dove furono preservati e tramandati di generazione in generazione attraverso una linea ininterrotta di re e saggi.
Il commento più autorevole e fondamentale al Laghukālacakratantra è la Vimalaprabhā ("Luce Immacolata"), scritto da Puṇḍarīka, il sesto re di Śambhala. Questo commento è indispensabile per la comprensione del Tantra, poiché ne chiarisce le complesse dottrine, le allegorie e le pratiche esoteriche. La Vimalaprabhā fu studiata a fondo da John Newman e da Raniero Gnoli, per citare i più illuminati, in un periodo nel quale non era ancora stata pubblicata l'edizione a stampa e l'unica fonte indiana era un manoscritto, di non facilissima lettura, su foglie di palma in caratteri proto-bengalesi del quale, purtroppo, non posseggo più la copia tra le mie scartoffie. Senza la Vimalaprabhā, gran parte del Laghukālacakratantra sarebbe inaccessibile. La tradizione tibetana attribuisce un ruolo fondamentale alle incarnazioni di Mañjuśrī, il Bodhisattva della Saggezza. Si ritiene che figure storiche chiave nella trasmissione e nella diffusione del Kālacakra, quali eminenti maestri indiani (come i celebri Kālacakrapāda il Vecchio e il Giovane) e, successivamente, tibetani (tra cui spicca, in particolare, Butön Rinchen Drub), fossero emanazioni di Mañjuśrī, garantendo l'accuratezza e la continuità degli insegnamenti, portati dal loro luogo di origine a Śambhala, fino al Tibet. La loro erudizione e realizzazione furono essenziali per decodificare e rendere praticabile questo profondo sistema.
Il Laghukālacakratantra è suddiviso in cinque capitoli principali, di cui il primo, noto come Lokadhatu ("Sfera del Cosmo"), si occupa principalmente della cosmologia e dell'astronomia. Il termine Lokadhatu in questo contesto si riferisce al "mondo esterno" (l'universo, i pianeti, il tempo ciclico) per arrivare, con il secondo capitolo, al "mondo interno" (il corpo umano, i canali energetici, il respiro, la coscienza), postulando una profonda corrispondenza tra macrocosmo e microcosmo. Questa interconnessione è fondamentale per le pratiche di meditazione del sistema Kālacakra, che mirano a trasformare il corpo e la mente per rispecchiare l'ordine cosmico e raggiungere la liberazione.
La prima delle sezioni che compongono il "Lokadhatu" è
il Lokadhātuvinyāsa ("Disposizione degli Elementi del Mondo")
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Lokadhātuvinyāsa ("Disposizione degli Elementi del Mondo")
Questa è, senza dubbio, la parte la più affascinante, visionaria e poetica dell'intero primo capitolo del Kālacakratantra per la sua descrizione dettagliata e visionaria del cosmo. Il Lokadhātuvinyāsa presenta una cosmologia complessa, che integra elementi della tradizione indiana con visioni uniche del Kālacakra. Esso descrive non solo la struttura fisica dell'universo, ma anche le sue leggi sottili e le interazioni. Al centro del sistema cosmico Kālacakra si trova il Monte Meru, un'imponente montagna cosmica che serve da asse del mondo, circondata da continenti, oceani e anelli montuosi. Sebbene concettualmente simile al Meru di altre cosmologie indiane, il Kālacakra fornisce dettagli unici sulla sua struttura e sulla sua relazione con i corpi celesti. Vengono descritti vari continenti (dvīpa), tra i quali Jambudvīpa, l'Isola della Melarosa, il nostro mondo, con le loro specifiche caratteristiche geografiche e i loro abitanti. La geografia descritta non è sempre letterale, ma spesso veicola significati simbolici relativi ai diversi stati di esistenza e ai percorsi spirituali. Una parte significativa di questa sezione è dedicata all'astronomia, oggetto specifico della difficile sezione successiva. Il Kālacakra Tantra presenta un sistema astronomico altamente sofisticato, con calcoli precisi per le posizioni dei pianeti (graha), della luna e del sole. Verranno spiegate le orbite, i cicli e le congiunzioni celesti. È qui che il concetto di "Ruota del Tempo" (Kālacakra) assume una dimensione concreta, con il tempo scandito dai movimenti celesti che influenzano la vita sulla terra e i cicli della coscienza. Il Tantra esplora diverse dimensioni del tempo: il tempo esterno (i movimenti dei corpi celesti), il tempo interno (i cicli del respiro e del corpo), e il tempo alternativo o iniziatico (i cicli delle iniziazioni e delle pratiche tantriche). Il Lokadhātuvinyāsa getta le basi per comprendere come questi tempi si interconnettono e come la manipolazione del tempo interno possa portare alla liberazione dal tempo esterno. Il Lokadhātuvinyāsa, insieme alla sezione astronomica successiva, non è solo un trattato di cosmografia o astronomia, ma una mappa dell'esistenza che riflette la complessità della mente illuminata. Comprendere questa disposizione del mondo esterno è il primo passo per comprendere come il proprio mondo interno sia un suo riflesso e come entrambi possano essere purificati.
Secondo la tradizione del Kālacakra, la rivelazione di questo Tantra avvenne in un momento fondamentale della storia del Dharma. La scena è ambientata a Dhānyakataka (la 'Città del Grano'), un luogo sacro nel sud dell'India, dove il Buddha si era manifestato per la seconda volta in forma di Detentore del Vajra (vajradhara), circondato da un vasto seguito di esseri celesti e umani.
Fu in questo contesto che il re Sucandra (Zla ba bzang po in tibetano), il primo sovrano del mitico regno di Śambhala, giunse per fare una richiesta straordinaria. Egli aveva viaggiato fino a Dhānyakataka per chiedere un insegnamento speciale, consapevole che un'epoca di declino spirituale, il Kaliyuga, stava per arrivare. Il suo scopo era ottenere un metodo profondo che potesse garantire la liberazione per gli esseri viventi in un tempo futuro di grande confusione e sofferenza.
Il Buddha accolse la richiesta e impartì le istruzioni per il glorioso Ciclo del Tempo (Śrī Kālacakra), un evento che viene considerato la Terza messa in moto della Ruota della Legge, dopo gli insegnamenti sull'Abhidharma, col Sermone di Benares e il succesivo insegnamento sulla Perfezione di Saggezza, (Prajñāpāramitā) sul Picco degli Avvoltoi.
Il primo giro della Ruota della Legge è la prima predicazione di Buddha a Sarnath (vicino a Benares), dove espose le Quattro Nobili Verità e il Nobile Ottuplice Sentiero. Questi insegnamenti sono la base di tutto il buddismo e sono spesso associati alla tradizione Hīnayāna (o Theravāda).
Il secondo giro si svolse sul Picco degli Avvoltoi e si concentrò sugli insegnamenti della Prajñāpāramitā, la "Perfezione di Saggezza". Qui, il Buddha introdusse il concetto di Śūnyatā (Vacuità), un'idea centrale del Mahāyāna, spiegando che tutti i fenomeni sono privi di esistenza intrinseca.
Il terzo giro è proprio l'evento che stiamo trattando, la rivelazione del Kālacakra Tantra a Dhānyakataka. Questo giro è considerato il culmine degli insegnamenti, fornendo un metodo tantrico avanzato per raggiungere l'illuminazione, specificamente per la liberazione degli esseri nel periodo di declino spirituale del Kaliyuga. È un insegnamento che integra la saggezza (Prajñā) del secondo giro con il Mezzo salvifico (Upāya), per una realizzazione rapida.
Il mito di Śambhala è profondamente intrecciato con la dottrina del Kālacakra (Ruota del Tempo) nel Buddhismo Vajrayāna, in particolare nella tradizione tibetana. Questo regno leggendario è non solo un luogo fisico o spirituale di illuminazione, ma anche un simbolo potente della saggezza esoterica e della futura età dell'oro.
La tradizione del Kālacakra attribuisce la sua origine al Buddha Shakyamuni stesso, che avrebbe rivelato l'insegnamento del Kālacakra nel quinto anno dopo la sua illuminazione, sul Picco degli Avvoltoi a Rājagṛha, contemporaneamente alla predicazione della Prajñāpāparamitā. Tra i presenti vi era un re saggio e devoto proveniente da un luogo chiamato Śambhala, Re Sucandra, che riconobbe l'immensa profondità e completezza di questi insegnamenti e chiese al Buddha di impartire il ciclo completo del Kālacakra per il beneficio del suo regno e di tutti gli esseri senzienti. A seguito di questa richiesta, il Buddha trasmise il tantra principale, il "Mūlakālacakratantra" (il "Tantra Radice della Ruota del Tempo"), che Re Sucandra trascrisse e portò con sé a Śambhala. Questo testo originale sarebbe stato vastissimo, contenente 12.000 strofe. Tuttavia, come menzionato nella richiesta, la tradizione tibetana conserva solo pochi frammenti che sono considerati sicuramente pseudo-epigrafi o citazioni sparse. Il testo che oggi è il fondamento dello studio del Kālacakra è il Laghukālacakratantra (il Kālacakra Tantra Breve), di lunghezza considerevolmente inferiore (poco più di 1.000 strofe), ritenuto un'epitome o una versione abbreviata del "Mūlakālacakratantra", probabilmente compilato da un Kalkin successivo o da un erudito indiano. La dinastia dei Kalkin ("Cementatori delle quattro caste") è centrale nella profezia del Kālacakra. Questi sono i trentadue re di Śambhala che succedono ai sette Re del Dharma, iniziati da Sucandra. La loro funzione principale è preservare e diffondere gli insegnamenti del Kālacakra fino al momento decisivo alla fine dei tempi. Il loro ruolo è dettagliatamente descritto nel Laghukālacakratantra e soprattutto nel suo autorevole commento, la Vimalaprabhā, scritto da Pundarīka, egli stesso dichiaratosi uno dei primi Kalkin. Questi testi predicono un futuro in cui il mondo sarà dominato da forze negative, spesso identificate con un "re barbaro" o una "dinastia di barbari" (generalmente interpretati come riferimenti storici alle sanguinose invasioni islamiche dell'India, ma anche come allegoria dell'ignoranza e della distruttività).
Secondo la profezia, quando il mondo sarà sull'orlo del collasso morale e spirituale, e gli insegnamenti buddhisti saranno quasi estinti, il venticinquesimo Kalkin, Re Raudra Cākrīn, emergerà da Śambhala alla testa di un'immensa armata, come da una sorta di castello del Graal. Egli affronterà le forze del male in una grande battaglia per ristabilire il Dharma e inaugurare un'epoca d'oro di pace, armonia e prosperità, in cui gli insegnamenti del Kālacakra fioriranno. I Kalkin, attraverso la loro pratica del Kālacakra, mantengono la saggezza e il potere necessari per questa futura liberazione. Non sono semplici monarchi, ma esseri altamente realizzati che incarnano i principi del Buddha. La loro dinastia rappresenta la continuità del Dharma e la speranza di una futura rinascita spirituale per il mondo. Il messaggio sottostante è che, anche nelle epoche più oscure, la saggezza e la compassione possono trionfare, e che la pratica del Kālacakra fornisce i mezzi per raggiungere tale liberazione, sia a livello individuale che collettivo. La narrazione di un salvatore che emerge alla fine di un'era di declino per restaurare la giustizia e l'ordine è un tema ricorrente nelle tradizioni religiose indiane, e in particolare trova un forte parallelo nei Purāṇa dell'Induismo, con la dottrina degli Avatāra di Viṣṇu. I Purāṇa sono una vasta collezione di testi religiosi indù che narrano storie di divinità, eroi, cosmologia e genealogie. In essi, il concetto di Avatāra si riferisce all'incarnazione o manifestazione di una divinità, essenzialmente Viṣṇu, sulla Terra per ristabilire il Dharma, proteggere i devoti e distruggere il male. La tradizione elenca dieci avatara principali di Vishnu, di cui nove si sono già manifestati e il decimo, Kalki, è ancora atteso.
La figura di Kalki nei Purana è particolarmente rilevante per il confronto con i Kalkin di Śambhala. Kalki è profetizzato come l'ultimo Avatāra di Viṣṇu, destinato ad apparire alla fine del Kali Yuga, l'era attuale di oscurità, conflitto e declino morale. Egli cavalcherà un cavallo bianco, brandendo una spada scintillante, e distruggerà i malvagi, purificando il mondo e dando inizio a una nuova età dell'oro, il Satya Yuga.
Entrambe le figure incarnano l'archetipo del salvatore messianico che emerge in un momento di crisi profonda per restaurare l'ordine cosmico e la giustizia.
Approfondendo l'aspetto della Guerra di Śambhala e l'azione del Kalkin, è fondamentale comprendere che la sua arma finale non è una forza distruttiva in senso materiale, ma piuttosto una potenza spirituale e gnostica. Il Kālacakra Tantra, sebbene descriva una battaglia apocalittica, la interpreta in gran parte in termini allegorici, come una lotta interiore contro le impurità e le afflizioni mentali (ignoranza, odio, attaccamento) che portano al declino del Dharma. La "distruzione dei barbari" è, a un livello più profondo, la trasformazione dell'ignoranza in saggezza e dell'ostilità in compassione. La Concentrazione del Supremo Cavallo (paramāśvasamadhi) sarà la pratica decisiva di visualizzazione e realizzazione dell'intera Profezia. Il "Supremo Cavallo" è un simbolo potente della mente di saggezza che galoppa attraverso lo spazio, superando tutti gli ostacoli e le illusioni. Esso rappresenta la rapidità e l'efficacia con cui la gnosi può purificare le oscurazioni.
Attraverso questa meditazione avanzata, il Kalkin genera non solo un Supremo Cavallo singolo, ma una moltitudine infinita di Supremi Cavalli, a simboleggiare la manifestazione illimitata e onnipervadente della saggezza compassionevole che emana dal Kalkin, non più come arma di distruzione fisica, ma come veicolo di emanazione della Conoscenza trascendente e della Compassione.

Il tema del cavallo come simbolo messianico di potere, purificazione, e veicolo di una forza restauratrice della giustizia, è un archetipo potente che attraversa diverse culture e tradizioni spirituali, rispecchiando una profonda risonanza fenomenologica. La "Meditazione del Supremo Cavallo" del Kālacakra si inserisce in questo vasto panorama culturale. Il testo biblico dell'Apocalisse di San Giovanni è forse l'esempio più celebre nella tradizione occidentale dell'uso del cavallo come elemento visionario associato alla giustizia divina e alla fine dei tempi. Qui(Apocalisse, 6:1-8), quattro cavalli (bianco, rosso, nero, verdastro/giallastro) e i loro cavalieri simboleggiano la conquista, la guerra, la carestia e la morte. Sebbene portino distruzione, sono strumenti del giudizio divino e della preparazione per un nuovo ordine. La loro apparizione segna la fine di un'era di corruzione. Ancora più significativo è il ritorno di Cristo su un "cavallo bianco"(Apocalisse 19, 11-16). Questo cavallo è immacolato, simbolo di purezza e vittoria. Il cavaliere è "Fedele e Verace", e "giudica e combatte con giustizia". Dal suo volto esce una spada affilata per colpire le nazioni, e lui governerà con scettro di ferro. Questa figura rappresenta la definitiva restaurazione della giustizia, la sconfitta del male e l'instaurazione del regno di Dio.
Il parallelismo con il Kalkin che emerge su un cavallo bianco (nel caso di Kalki nella tradizione hindu dei Purāṇa, o la manifestazione dei "Supremi Cavalli" nel Kālacakra) è evidente: entrambi sono figure che, attraverso una forza superiore (divina o gnostica), purificano il mondo e ristabiliscono l'ordine. Il cavallo bianco è un simbolo universale di vittoria, trionfo e rettitudine.
Spostandoci in un contesto culturalmente distante, ma fenomenologicamente affine, la Grande Visione di Alce Nero (Black Elk), sciamano e uomo sacro dei Lakota Oglala Sioux, offre un altro potente esempio del cavallo come elemento visionario nella restaurazione della giustizia e dell'armonia.
Nella sua visione, narrata nel libro "Alce Nero Parla" (registrato da John G. Neihardt), il giovane Alce Nero viene visitato da figure celesti e cavalli che rappresentano le forze del mondo spirituale e gli portano doni di potere e saggezza per guarire la sua gente e restaurare il Cerchio Sacro della Nazione.
I cavalli nella visione di Alce Nero appaiono da tutte le quattro direzioni sacre, di colori diversi (nero, bianco, rosso, giallo), portando con sé poteri specifici legati agli elementi e alle virtù. Questi cavalli non sono semplici animali, ma manifestazioni di Spiriti animali e potenze cosmiche. Alce Nero riceve poteri per curare i malati, condurre la sua gente e unire le nazioni. I cavalli sono i suoi veicoli, i suoi compagni nel viaggio visionario che lo porta a comprendere il suo ruolo nel riportare armonia e benessere al suo popolo, devastato dalle guerre e dalla perdita della cultura. La sua missione è quella di "far rifiorire l'albero sacro" e ricreare l'equilibrio.
In tutti questi esempi – il "Supremo Cavallo" del Kalkin, il cavallo bianco del Cristo Apocalittico, e i cavalli della Grande Visione di Alce Nero – emergono chiare convergenze fenomenologiche.
Il cavallo non è solo un animale, ma un veicolo per manifestazioni sovrumane, divine o spirituali. Trasporta una forza che va oltre il comune, collegando il mondo terreno con quello celeste. La sua apparizione è legata a un momento di crisi e alla successiva restaurazione dell'ordine, della giustizia e della salute (sia spirituale che fisica). Il cavallo è l'emissario che porta il cambiamento. Spesso bianco, o comunque associato a colori primari e direzioni cardinali, il cavallo appare nel contesto di visioni, sogni o rituali, suggerendo che il suo significato non è meramente fisico, ma profondamente radicato nell'immaginario collettivo e nella dimensione spirituale dell'esperienza umana.

"Questo Kalkin poi, alla fine degli evi, veduta l'estrema iniquità dei barbari, diventato immobile come una roccia, manifesterà, grazie alla concentrazione del Supremo cavallo, infiniti supremi cavalli, e, facendo breccia per mezzo di essi sulle menti dei barbari, li stabilirà nella sua propria Legge. Egli, precisamente, li sradicherà dalla loro Legge, non li ucciderà. […] Con questa ed altre stanze è stata profetizzata dal Beato la battaglia con i barbari. Quanto è stato detto nel primo capitolo [Laghukālacakratantra, 1, 161], che cioè Kalkin ucciderà i barbari con cavalli saldi come la roccia, aveva, come fine, quello di scoraggiare i mali Veggenti, chè altrimenti, se la mente sin dal principio è colta da dubbi, non può essere convenientemente addestrata. Tale la ragione per cui il Beato ha detto che l'abilità nella scelta dei mezzi salvifici è indispensabile peril Bodhisattva. […] (traduzione di Raniero Gnoli, "La realizzazione della conoscenza del Supremo immoto" Rivista degli Studi Orientali, Roma 1997, pp.70-71)
Lokadhātuvinyāsa ("Disposizione degli Elementi del Mondo")